I costi dell’energia rischiano di ripercuotersi in maniera troppo pesante sulla gestione delle strutture ricettive dell’arco alpino. I dubbi e i timori per la prossima stagione della neve preoccupano gli albergatori, alla ricerca di soluzioni comunque non facili da individuare.
Stagione invernale da “equilibristi” per i rappresentanti delle principali strutture alberghiere di montagna. Dal Monte Bianco alle Dolomiti, l’industria turistica in quota è ben consapevole di essere fra i settori più energivori ed esposti alla crisi delle forniture, ma al tempo stesso di non avere tempo sufficiente per strategie di mitigazione.
“Non sono solo i costi di elettricità, gas e gasolio a rappresentare una spada di Damocle sui nostri bilanci – spiega Filippo Gerard, presidente di Federalberghi Valle d’Aosta –, ma persino pellet, cippato o legna contribuiscono ad aggravare l’aumento dei prezzi prodotto dall’inflazione, pari a circa il 10%. Siamo bersaglio di speculazioni di mercato che potrebbero esser contenute almeno per alcune tipologie commerciali, se non dipendessimo pure dall’importazione di beni ricavabili dal nostro territorio”.
A livello regionale sono stati, infatti, mossi i primi passi per una riorganizzazione della filiera del legno, con l’obiettivo di intensificare lo sfruttamento delle aree boschive abbandonate. Un
ritorno “controllato” al riscaldamento a legna avrebbe, inoltre, il vantaggio di ridurre l’impatto inquinante del gasolio, la fonte energetica più diffusa per le valli di difficile accesso. Il processo di
riconversione non può però essere impostato dall’oggi al domani, tanto più che andrebbero riadattati gli impianti delle strutture.
UN’ALTERNATIVA
Lo spettro di chiusure mirate nei periodi di bassa stagione, onde risparmiare sui consumi ed evitare aumenti tariffari generali, è invece una delle soluzioni di pronta applicazione per la maggior parte
dei comprensori, proprio come l’organizzazione di corsi sul risparmio energetico destinati agli albergatori.
“Considerando il carattere maggiormente usurante della stagione invernale – sottolinea Fabio Borio, presidente Federalberghi Torino e Provincia – e con aumenti in bolletta in grado di spingersi oltre il 400%, le voci da tener sotto controllo aumentano sempre più: l’ampio ricorso al servizio lavanderia, che oggi andrebbe strutturato su piani di consumo variabili, la cucina calda dei ristoranti, senza trascurare gli inevitabili interventi di manutenzione causati dal freddo”.
Stante il ritmo odierno, risulta troppo rischioso basarsi su preventivi che necessitano di ritocchi in brevissimi intervalli: occorrerebbe personale specializzato nelle operazioni di contabilità d’emergenza.
ENERGY SURCHARGE E FONTI RINNOVABILI
L’unica forte garanzia, per gli albergatori, è un massiccio intervento calmierante da parte dell’Unione europea: in caso contrario, altissimo resta il rischio di tornare a regimi di cassaintegrazione
e chiusure, oltretutto con margini di resistenza limitati a qualche mese. Con il blocco della scorsa stagione invernale, la pandemia ha lasciato un segno indelebile nell’economia montana: le flessioni del giro d’affari, da Ovest a Est dell’arco alpino, si attestano attorno al 17%. Neppure entusiasma la possibilità di applicazione puntuale di una ‘energy surcharge’, dal momento che potrebbe rivelarsi
un’arma a doppio taglio capace di affossare la domanda turistica, mentre l’adozione di nuovi impianti fotovoltaici necessita di piani strategici complessi per avere un impatto sensibile
sui consumi. Analogo discorso vale per la realizzazione di impianti a biomassa o geotermici.
Dobbiamo aspettarci un aumento dei costi della montagna non inferiore al 25%
“Fra rincari skipass e strutture –rileva, invece, Walter De Cassan, presidente di Federalberghi Belluno Dolomiti – dobbiamo aspettarci un aumento dei costi della montagna non inferiore al 25%. Aumento, però, non significa necessariamente numeri del ampie scorte di legno derivanti dagli abbattimenti della tempesta Vaia del 2018; peccato che molte strutture di montagna siano ormai dipendenti dai soli impianti a induzione. Ciascun albergo, in definitiva, dovrà valutare da sé i propri margini di manovra. “Possiamo provare a ridurre i servizi – ripetono gli albergatori di montagna –,
ma se dovremo chiudere di nuovo, per molti sarà la fine”.